Quell’«orecchio» italiano che dà sicurezza agli americani: il caso della start-up con il cervello a Milano

Una serie di colpi di arma da fuoco in rapidissima sequenza rompe il silenzio della notte di un buio quartiere periferico di Washington. Siamo in un’area commerciale in fase di riqualificazione praticamente deserta. Il suono non è però sfuggito a uno dei sensibilissimi sensori disseminati nella città e collegati wireless. L’invisibile orecchio elettronico codifica subito il rumore come pericoloso dando l’allarme in tempo reale alla centrale di sorveglianza della Polizia. L’agente di turno, visualizzato immediatamente sulla grande mappa elettronica della città il punto preciso dove sta avvenendo la sparatoria, accede ad alcune telecamere esterne di imprese private e di enti pubblici nella zona e le direziona esattamente sul luogo incriminato.
In pochi click le immagini di due bande di spacciatori appaiono sugli schermi del centro di controllo, mentre già le pattuglie convergono sulla zona…
No, non è la forzatura di una delle tante fortunate serie televisive ad alta tensione dove, in 45 minuti, si risolvono complicatissimi casi, ma l’ultima realizzazione di una società già operativa che ha le radici in una start-up italiana. La quale proprio negli Stati Uniti ha trovato la strada del successo.
Facciamo, però, un passo indietro di dieci anni. Al Politecnico di Milano si svolge il premio Start-Cup, coordinato dal professor Giuseppe Serazzi, responsabile dell’Acceleratore di impresa dell’ateneo milanese. Secondo nella competizione dedicata a idee di imprese innovative arriva un giovane ingegnere, Andrea Orioli, che presenta il progetto WIFI-e, basato sulla trasmissione di dati senza fili. Inizia così l’attività all’interno dell’Acceleratore, scoprendo che altri tre giovani italiani – Torquato Bertani, laureato anch’egli al Politecnico di Milano, Umberto Malesci e Cosimo Malesci, laureati al Mit di Boston – stanno lavorando proprio nella città americana su un progetto analogo. Grazie a internet gli scambi di idee viaggiano veloci e i quattro decidono così di unire le forze dando vita a Fluidmesh Networks, diventata in pochi anni leader nelle tecnologie wireless di controllo per città, porti e aeroporti grazie anche all’ingresso di due fondi di private equity. Poi il passo successivo con lo spin-off Pantascene realizzato da Orioli. È una storia esemplare di come con la tenacia, i sacrifici, ma anche con la preparazione e il coraggio, i nostri ragazzi possano accettare e (a volte) vincere le sfide in mercati altamente competitivi.
«Oggi – spiega Orioli – c’è la necessità strategica di ottenere informazioni in tempo reale su quanto sta accadendo non solo nelle città, ma anche, per esempio, in grandi strutture industriali con produzioni pericolose o nei trasporti. Grazie alla tecnologia cloud e ai nostri sistemi protetti da numerosi brevetti, riusciamo non solo a far dialogare tra di loro sistemi di sorveglianza della Polizia, ma a collegarli con altre reti di telecamere private e di sensori. In questo modo la città di Boston, teatro del tristemente famoso attentato durante la maratona annuale, ora ha il controllo completo del territorio nel corso di tutte le manifestazioni oppure le forze dell’ordine di Washington DC sono in grado di individuare, appunto, il luogo esatto e di visualizzare la scena dove sono stati esplosi dei colpi di arma da fuoco. O, ancora, si è potuta avere la visione totale e coordinata di tutte le telecamere durante l’ultimo Superbowl».
Detto in questo modo sembra facile passare dall’idea, seppure sofisticata, all’ingresso in settori dove la concorrenza è feroce e di alto livello. «Almeno fosse così – dice Orioli -, invece si tratta di un percorso difficile, però se prendiamo l’America, sei hai le potenzialità riesci a farcela. Anche perché noi abbiamo tenuto “il cervello” in Italia».
Nel senso? «Ricerca e sviluppo sono nella nostra sede italiana, mentre produzione, rete vendita e supporti tecnologici si trovano negli Usa e negli altri paesi dove lavoriamo. È stata questa probabilmente la nostra scelta vincente. In Italia abbiamo tra i cervelli migliori come preparazione tecnica e con una flessibilità unica al mondo».
In un paese come il nostro, con una disoccupazione giovanile terribile, molti ragazzi stanno pensando di tentare la via di una nuova azienda. Quali potrebbero essere cinque consigli per chi vuole accettare la sfida di una start-up? «Uno: provarci sicuramente, anche se bisogna sapere che sarà durissima; due: il team è fondamentale: tutti devono fornire continuamente idee e in questo vanno coinvolti anche eventuali dipendenti oltre ai soci; tre: il prodotto può essere anche vincente, ma senza un eccellente servizio di assistenza in mercati come quello Usa non vai avanti; quattro: non staccarsi dall’Italia, dove abbiamo tra gli ingegneri più bravi al mondo con capacità tecniche e intuitive uniche; cinque: lavorare tanto, tanto, tanto. Ferie? Ne riparliamo».
Bene, però, visto che avete la sede a New York, neanche un giretto in traghetto? «Quello magari sì, visto che l’impianto di videocontrollo in tempo reale della rete cittadina dei battelli lo abbiamo realizzato noi».