Tempo fa mi sono occupato di un’allucinante vicenda di ritardi giudiziari, culminata nel ritardo del pagamento dei danni per il ritardo. Purtroppo nel caldo agostano tutto tace. Allora rinfreschiamoci le idee…
“L’anatocismo – come spiegano le “parole chiave” del Sole 24 Ore – è la pratica con la quale la banca calcola gli interessi dei trimestri successivi non soltanto sul capitale, ma anche sugli interessi dei trimestri precedenti. Nel 2000 la legge lo ha autorizzato purché esso avvenga con pari periodicità sia sugli interessi attivi sia su quelli passivi. Alcune sentenze, però, ritengono che (anche se post 2000) sia comunque necessaria la sottoscrizione di un nuovo contratto in cui sia pattuito un anatocismo attivo e passivo con pari periodicità, non essendo sufficiente la semplice entrata in vigore della legge.”
Insomma, siamo all’interesse dell’interesse che in alcuni casi può fare lievitare in modo terribile, ad esempio, le rate sui prestiti con pesanti conseguenze economiche.
Vittima di un anatocismo giudiziario alla rovescia è Ugo Varzi, scomparso nel 2010 e residente in provincia di Catanzaro per il quale – con i suoi eredi – i danni e la beffa sembrano non finire mai.
Proviamo a ripercorrere la vicenda che inizia nel 1983 quando Ugo viene coinvolto in un incidente stradale e chiede al Tribunale un processo per risarcimento danni. Le carte sono tutte in regola, la Giustizia si mette in moto e il processo si chiude a favore dell’uomo. Quanto tempo? La sentenza di primo grado, di condanna al risarcimento danni, è del maggio 2011, purtroppo un anno dopo la morte di Ugo e a “27 anni e tre mesi” dall’inizio del processo. Uno schiaffo inaccettabile alla memoria del padre al quale i figli rispondono con un’istanza di “equa riparazione”, a norma della legge n. 89/2001, c.d. legge Pinto, per i danni non patrimoniali subiti dal genitore a causa di un ritardo che si basa – in sintesi – su tre punti:
1) Accertare la violazione da parte dello Stato italiano della convenzione per i diritti dell’uomo;
2) Condannare il ministero della Giustizia al risarcimento danni oltre agli interessi;
3) Condannare il ministero della Giustizia al pagamento delle spese processuali.
Passano ulteriori due anni e alla fine, in data 11 settembre 2013, arriva la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, sezione Civile, che dà piena ragione ai ricorrenti. Nel dispositivo viene riconosciuto che la ragionevole durata del processo doveva essere, tolti due anni tra varie sospensioni ecc. – in tre anni per il giudizio di primo grado. Il ritardo è quindi di “24 anni e tre mesi rispetto alla ragionevole durata del processo” e la Corte quantifica anche il risarcimento per un totale di 21.500 euro.
Al di là della cifra giustizia è fatta, con un riconoscimento soprattutto morale per l’umiliazione subita da Ugo che, come abbiamo visto, non è sopravvissuto ai ritardi dell’apparato giudiziario.
Vicenda chiusa, quindi?
Purtroppo no. Ci credereste che, dopo quasi due anni, il risarcimento non è stato ancora versato?
E adesso a chi si può ricorrere?