In principio fu Bill Gates. Ricchi, famosi, innovatori, i fondatori e top manager delle società ad alta tecnologia stanno cambiando non solo il modo di lavorare, ma la vita stessa di miliardi di persone. Ora, però, da invidiati, eccoli nel ruolo dei più odiati livello globale, scalzando dal trono i grandi banchieri. Ed è tutto dire.
Il faro acceso dalla Ue e dalle authority nei confronti di big da Apple ad Amazon per come gestiscono privacy e le proprie attività usufruendo di agevolazioni fiscali nei vari paesi, rappresenta quindi l’ennesima puntata di una pesante escalation?
Ad esserne sicuro è Umberto Bertelè, ordinario di Strategia al Politecnico di Milano e autore del libro “Strategia” proprio su questi temi, che da molti anni segue l’evoluzione talora dirompente delle nuove tecnologie ICT, il successo delle imprese che le sanno cavalcare e le devastazioni (il termine inglese è disruption) che la loro entrata in gioco provoca in settori dell’economia anche lontani, dai giornali alle macchine fotografiche, dalle console per videogiochi alle catene distributive e in prospettiva alla stessa finanza.
“L’attacco dell’Europa, della Germania soprattutto e della Francia, alle grandi imprese statunitensi operanti nel mondo Internet (le cosiddette OTT–over the top) – sostiene Bertelè – appare sempre più virulento.
Come ho scritto recentemente, è Google al momento il bersaglio più gettonato. In tema di privacy, con la Corte Europea di Giustizia che ha imposto il rispetto del cosiddetto right to be forgotten e la Germania che ha vietato (in linea con le proprie leggi) di profilare gli utenti senza una specifica autorizzazione. In tema di antitrust, ove deve fronteggiare un gruppo politicamente potente di imprese (a partire da Axel Springer e News Corp), appoggiate da ministri del governo tedesco (quello dell’economia ha minacciato il break-updella società e quello della giustizia ha chiesto di rendere pubblico il meccanismo di ranking utilizzato nel suo celebre algoritmo). In tema di rapporto con i giornali, ove il governo Hollande ha imposto una sorta di risarcimento da corrispondere agli stessi per aiutarli a sopravvivere.
Con l’intento di proteggere dalla disruption le librerie tradizionali, Hollande ha attaccato (con successi peraltro dubbi) anche Amazon. Contro Amazon si è schierata Hachette, uno dei leader mondiali dell’editoria, che teme il suo strapotere nell’e-commerce. E contro Amazon si sono sollevati i lavoratori tedeschi che operano nelle sue strutture logistiche.
Nell’ambito della cosiddetta sharing economy, Uber è sotto attacco quasi ovunque (non solo in Europa ma anche in California ove è nata) e Airbnb rischia di essere messa al bando in Catalogna “per concorrenza illecita agli alberghi locali”.
E infine Apple, prima società in assoluto al mondo per capitalizzazione (600 miliardi di dollari), è oggetto di un attacco dell’antitrust comunitario con l’accusa di aver tratto “vantaggi indebiti” dagli accordi fiscali sottoscritti con l’Irlanda, che le hanno permesso di pagare tasse irrisorie sulla maggior parte dei suoi profitti: una procedura avviata in questi giorni, che presumibilmente genererà un contenzioso destinato a durare molto a lungo e a fare la fortuna degli avvocati”.
Sono davvero così cattivi o è l’Europa, incapace di competere a livello tecnologico mondiale, che cerca di schermarsi dietro le barriere delle regole? Non c’entra per caso la battaglia sul controllo dei dati, ormai strategici come gli arsenali nucleari?
“Io credo che si mescolino vari fattori. Innanzitutto la preoccupazione per i ritardi accumulati in questa area in grande crescita e per le conseguenze che tali ritardi potrebbero avere su alcuni dei comparti, a partire dall’auto, ove essa è leader o co-leader mondiale: non è un caso che all’”auto che si guida da sola” stiano lavorando (in competizione fra loro) sia BMW sia Google.
Ma probabilmente, soprattutto nei Paesi a nord delle Alpi, gioca un ruolo non trascurabile anche l’irritazione per il disprezzo delle regole o la disinvoltura nell’aggirarle che le OTT (come accennato) manifestano continuamente: riuscendo legalmente a pagare pochissime tasse, Apple in primo luogo ma non è certamente la sola; sfruttando la propria posizione dominante, Google nel search e Amazon nell’e-commerce; gestendo con disinvoltura il tema della privacy, Google, Facebook o Twitter; sconvolgendo gli assetti esistenti con i loro modelli di sharing economy, Uber o Airbnb.
Credo poi che la Germania abbia un dente particolarmente avvelenato dopo la scoperta di essere spiata dagli statunitensi – Merkel compresa – con la complicità (voluta o meno) delle OTT”.
Certo che, intanto, la Cina, con lo sbarco di Alibaba a Wall Street, sta giocando una partita tutta sua anche contro lo strapotere Usa.
“Il clamoroso sbarco di Alibaba (che controlla l’80 per cento dell’e-commerce in Cina) a Wall Street, il più grande della storia per cifra raccolta (25 miliardi di dollari), e la crescita continua delle quotazioni di Tencent e Baidu (versioni cinesi di Facebook e Google) sono in realtà la conseguenza di scelte politiche (lontane nel tempo) delle autorità cinesi, che – timorose da un lato di perdere il controllo delle informazioni circolanti in rete e dall’altro di aprire varchi all’intelligence statunitense – hanno promosso la crescita di imprese locali, anche se ricorrendo al mercato internazionale per il loro finanziamento”.
Ma torniamo all’Europa. Sembra che anche sul fronte dell’innovazione la situazione rispecchi una divisione di obiettivi e priorità. L’ultimo, seppur piccolo ma significativo caso, riguarda Uber, il servizio di noleggio con autista, con alcuni Paesi che lo osteggiano e altri dove è liberamente attivo
“Il tema è complesso, perché da un lato sono di diversa natura i servizi offerti da Uber e dall’altro sono diverse le regole relative ai servizi di trasporto urbano nelle varie città del mondo (in Italia ad esempio le licenze per i taxi sono a numero chiuso mentre a Londra tradizionalmente le licenze venivano date a tutti coloro che superavano un duro esame sulla conoscenza delle vie della città).
Il servizio Uber, quello che in genere viene svolto in Italia dalle auto NCC, è osteggiato dai tassisti (per il calo di valore della loro licenza che potrebbe causare), ma non è contra legem. Più delicato il servizio Uber Pop, che utilizza auto e guidatori privati privi di licenza, affidandosi poi al giudizio dei clienti nel decidere eventuali esclusioni: proibita ad esempio a Milano e proibita da un tribunale in tutta la Germania con una sentenza al momento sospesa. Proibito in California il servizio di car-pooling, di lancio più recente, perché contravviene a una preesistente legge dello Stato che vieta ai taxi la raccolta di persone diverse.“
Cattivi o non cattivi, questi big della tecnologia rappresentano un mito per i giovani in cerca di occupazione. I quali, tra l’altro, non rifiuterebbero certo un posto in banca perché non amano i banchieri.
“Non ci sono dubbi sulla capacità di attrazione che il mondo Internet, come peraltro quello dell’alta finanza, ha sui giovani. Sono convinto che l’Europa, e il suo Paese più potente in particolare, debbano chiedersi quale battaglia stiano combattendo. È giusto che le OTT paghino le tasse, è giusto che non usino a fini predatori il loro potere, è giusto che non si arricchiscano vendendo privacy. Ma la mia sensazione è che ci sia di più dietro al susseguirsi di atti ostili: che si voglia “bloccare per via politica” uno sviluppo che si teme di non poter controllare e che mette in forse molti poteri costituiti, invece che impegnarsi seriamente per giocare un ruolo primario in un processo credo inarrestabile.”