Sala riunioni blindata, comunicazioni verso l’esterno ridotte all’indispensabile. Attorno al tavolo visi tesi, preoccupati: è in corso un violentissimo attacco e bisogna reagire in breve tempo mettendo in campo tutte le risorse possibili. Ma quale strategia adottare?
No, non siamo di fronte a una situazione di guerra, bensì a una crisi aziendale. Due scenari che, alla fine, sono simili perché la discriminante tra una sconfitta clamorosa e una vittoria è proprio quella della Strategia, come si intitola il nuovo libro di Umberto Bertelè, ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano, dove è stato tra i fondatori del corso di studi di Ingegneria Gestionale ed è presidente onorario del Mip.
Partiamo dai casi citati, trovando subito quello della Apple. Non è un po' scontato?
"Perché – ribatte Bertelè - non ho scelto un caso un po’ più esotico? Confesso di averci riflettuto a lungo, ma alla fine ho concluso che era difficile trovare un esempio caso che presentasse – tutte insieme – una serie di tematiche a mio avviso centrali e che potesse essere ripreso in più capitoli del testo.
Apple è innanzitutto un caso straordinario di turnaround. Quando alla fine degli anni ’90 Steve Jobs fu richiamato come interim Ceo (da cui la i che ironicamente antepose a tutti i suoi prodotti), dopo esserne stato scacciato parecchi anni prima, Apple era un’impresa sull’orlo del baratro. A 15 anni di distanza e un anno dopo la sua morte, nel momento di massimo successo delle sue creature, la società raggiunse – a quota 660 miliardi di dollari – il livello di capitalizzazione più elevato di tutti i tempi.
E' un caso che mette in luce come i maggiori successi siano quasi sempre legati a innovazioni non tanto e non solo nei prodotti, quanto nei modelli di business e nella capacità di modificare gli stili di vita. L’iPod, l’iPhone e l’iPad ricalcavano fisicamente prodotti già esistenti e di ridotto successo; fu l’ecosistema creato intorno a loro – gli accordi con i fornitori di contenuti, lo store, le app e il ricorso al cloud computing – che permise una serie di prestazioni in precedenza impensabili e che fece emergere dal nulla una domanda latente di grandi dimensioni, con conseguenze spesso disruptive anche in comparti lontani dall’Ict.
È un caso che incuriosisce per il livello relativamente modesto di spese in R&D rispetto agli altri grandi dell’Ict: molto inferiore ad esempio a quello di Nokia, storico leader mondiale della telefonia mobile, precipitata nel giro di pochi anni – per colpa del cambiamento innescato da Apple – dal 40 per cento circa del mercato globale a una quota di pochi punti percentuali.
È un caso che colpisce per la grande rilevanza che a fianco dell’innovazione hanno, nel creare valore, quelli che io chiamo i comportamenti “ai confini del lecito”: ovvero il ricorso a comportamenti che, pur non violando le leggi vigenti, confliggono con la sensibilità comune dei paesi storicamente sviluppati. Apple, sfruttando (come peraltro molte altre grandi imprese multinazionali) i “buchi legislativi”, è tuttora soggetta a una imposizione fiscale irrisoria (il 2 per cento circa su tre quarti dei suoi utili); Apple, delegando tutta l’attività produttiva a operatori orientali, ha di fatto tollerato (sino ai maggiori controlli posti in essere di recente) – pur non essendone formalmente responsabile – forme di sfruttamento pesante del lavoro da parte dei suoi fornitori in outsourcing, con ovvi vantaggi sui costi. Colpisce il fatto che quella che è stata per molti anni la società più innovativa del mondo debba una quota molto rilevante del suo valore di borsa ai “risparmi” fiscali e all’uso “disinvolto” del fattore lavoro."
Ma sappiamo davvero affrontare una crisi come questa?
"La strategia – ossia il mantenimento di un filo che leghi fra loro le diverse decisioni e le indirizzi verso gli obiettivi che si vogliono raggiungere – fa spesso la differenza nell’uscita dalle crisi, ma devono esserci i presupposti perché questo possa accadere. A fronte del turnaround di successo di Apple, “sometimes the best that a company can hope for is death”, come ha affermato lo studioso inglese John Kay in un articolo di qualche mese fa. Ci sono infatti imprese che hanno perso ormai ogni vitalità o che hanno visto svanire il valore delle loro risorse e competenze a fronte di cambiamenti profondi nel contesto: per queste l’accanimento terapeutico può diventare solo fonte di sprechi, ed è un fenomeno che in Italia conosciamo fin troppo bene, con il mantenimento in vita da parte dello stato e delle banche di veri e propri zombie. Essenziale è quindi capire quali siano le “carte” che possano essere ancora giocate."
E allora quali sono i nuovi modelli di strategia che si stanno sviluppando?
"Gli ultimi 30-40 anni (un periodo lungo se si pensa che il primo vero modello di business in campo industriale fu introdotto da Ford agli inizi del ‘900) hanno visto nascere diversi modelli innovativi a forte impatto. Il modello Toyota innanzitutto, che con il celebre just in time e il concurrent engineering ha rivoluzionato il mondo dell’automobile e ha fatto scuola per molti altri settori industriali: per l’abbigliamento ad esempio, ove il perseguimento della quick response ha portato alla riconfigurazione dell’intera filiera industriale e distributiva. Il modello low cost, che ha permesso ad Ikea di sbaragliare l’offerta esistente (quale in Italia quella dei mobilieri brianzoli) e che – con la crescita di imprese come South Western negli Stati Uniti e Ryanair e EasyJet in Europa – ha portato al fallimento di numerose compagnie aeree storiche.
Il modello “negozi monomarca”, nel lusso e nel low cost, si è diffuso in parallelo con la crescita della grande distribuzione (WalMart ha due milioni di addetti) e delle marche proprie.
La globalizzazione ha spinto verso la frantumazione geo-politica delle supply chain, ponendo in serie difficoltà lo storico modello dei distretti industriali. La cosiddetta open innovation ha preso sempre più peso, soprattutto nel comparto farmaceutico e nell’ICT: ove si sono moltiplicate le acquisizioni di start-up e i ricorsi ai centri di ricerca esterni e alla università, mentre si sono spesso fortemente ridimensionati i laboratori di ricerca interni alle imprese.
Si è passati sempre più frequentemente “dal prodotto fisico al servizio” (non si compra più il gasolio ma il servizio che garantisce la temperatura desiderata) e “dalla proprietà alla disponibilità” (il download ha preso il posto del Cd e dei Dvd e lo streaming sta prendendo quello del download).
E ora è in piena azione quella che Downes e Nunes hanno denominato “Big-Bang Disruption”, ovvero l’effetto distruttivo che la combinazione “dispostivi mobili (smartphone e tablet) + app + cloud computing + broadband” – alla cui nascita Apple ha dato un forte contributo – ha sugli assetti e sulle imprese di molti settori dell’economia. Le macchine fotografiche digitali compatte, i navigatori portatili e le console portatili per videogiochi sono in caduta libera perché colpite dalla concorrenza (involontaria) degli smartphone. Gli orologi, già ampiamenti sostituiti dai cellulari nella funzione di “misuratori del tempo”, sopravvivono sostanziamente solo come oggetti di lusso e/o di moda. I quotidiani e i periodici hanno grosse difficoltà (come detto) a recuperare via web o mobile la caduta – nelle copie vendute e nella pubblicità – del cartaceo e trascinano nella caduta le edicole. Sono in crisi le librerie (negli Usa è fallita la seconda catena del Paese ed è in difficoltà la prima), a causa prima dello sviluppo impetuoso del canale alternativo dell’e-commerce e poi della nascita dell’ebook. È in crisi l’industria discografica, all’inizio a causa della pirateria e ora per gli alti margini che deve concedere agli Ott per il download e più di recente per lo streaming, ed è in crisi l’industria cinematografica per ragioni simili. Inizia a essere in crisi negli Stati Uniti la grande distribuzione tradizionale, attaccata dall’e-commerce (con Amazon ed eBay in testa). Sembra destinato a un profondo ripensamento il sistema dei pagamenti, con lo smartphone che tende a sostituire la moneta e le carte di credito. E non solo."
"Strategia" fa parte della collana Pixel di Egea http://www.egeaonline.it/bookshop/catalogo/strategia___.aspx che permette anche l'acquisto online oltre a un aggiornamento integrato grazie al codice stampato sul libro e con app.