Da bamboccioni a choosy ad apatici: li abbiamo chiamati in tutti i modi. E ogni giorno gli raccontiamo che avranno, se l’avranno, un lavoro precario con poche possibilità di carriera perché il Paese è ancora prigioniero di nepotisimi ed allergico al merito. Infine, se mai dovessero raggiungere l’età giusta, la pensione la vedranno solo attraverso la realtà virtuale. Salvo poi lamentarci che chi di loro può scappa all’estero. Attenzione: scappa, perché in un caso su due l’azione è dettata più dalla disperazione che da una vera strategia.
Ah già, stiamo per parlando dei giovani, del “problema” giovani. In questi anni di Quotidiano in classe, l’iniziativa dell’Osservatorio Giovani-Editori a cui collabora Il Sole 24 Ore, sto avendo il privilegio di incontrare migliaia di quelli che molti indicano come aspiranti depressi.
Trovando invece tanti ragazze e ragazzi pieni di entusiasmo, voglia di capire, desiderio di essere liberati da questa prigione di negatività che un po’ tutti nel nostro Paese gli stiamo creando attorno. Ne è un esempio la polemica sull’alternanza scuola-lavoro. Per molti giovani, e sono loro stessi a raccontarlo, è un’esperienza interessante e importante, che li porta a capire il funzionamento, ad esempio, di una fabbrica o di un’attività commerciale: insomma, cosa sia, visto dal vero, il lavoro. Certo, le derive scandalose che sono avvenute, con utilizzi in modo indegno, vanno affrontate e sanzionate molto severamente, ma non si può neutralizzare un elemento realmente in grado di contribuire alla formazione, mentre invece ne vanno migliorati i meccanismi ed i controlli.
Coltivare e far sviluppare la capacità critica dei ragazzi è una responsabilità di tutti, perché essi saranno chiamati a confrontarsi sempre più con realtà globali e per questo dovranno avere tutti gli strumenti adeguati. Dobbiamo darglieli.